Fonte dell’articolo silvestrini.org
San Benvenuto
Discepolo del santo Padre Silvestro s.XI (Memoria silvestrina)
MARTIROLOGIO
Benvenuto da Piticchio di Arcevia. Fu molto tormentato dal demonio, contro il quale lottò con le armi della preghiera e della mortificazione. Si concedeva pochissimo riposo, poggiando le stanche membra alle pareti della cella monastica o su un duro sedile. Un giorno, urtato dal maligno mentre stava in preghiera, precipitò dal solaio dell’eremo di Montefano. Sopravvisse dieci giorni fra dolori indicibili, sopportati con grande pazienza. Benvenuto, chiamato espressamente «santo» nei testi agiografici (Vita Silvestri, cap. 45; Vita Hugonis, cap. 10), attualmente ha un culto ufficiale come «beato»: la Congregazione Silvestrina e la diocesi di Senigallia, infatti, ne celebrano la «memoria facoltativa» il 6 dicembre.
San Nicola
Vescovo (Memoria facoltativa)
BIOGRAFIA
E’ un santo che lungo i secoli è entrato prepotentemente nella devozione popolare sia nel mondo cattolico che in quello ortodosso e ciò a dispetto della storia che poco o nulla si racconta di lui. Sappiamo che è nato probabilmente in Turchia e che il luogo dove ha esercitato l’episcopato è Mira, oggi Dembre, una località marittima nella costa orientale della Turchia. Una tradizione non documentata lo vorrebbe presente al famoso Concilio di Nicea (325). Il suo culto ebbe un forte influsso da quando le sue reliquie furono portate a Bari nel 1087, dove fu innalzata in suo onore una stupenda basilica. E’ molto amato dai bambini, in modo particolare da coloro che vivono nelle regioni del nord d’Europa, che ravvisano in lui il santo buono che ha l’incarico di portare i doni natalizi con diversi giorni di anticipo sul meno santo Babbo Natale. Riteniamo però che il dono più grande che egli ha lasciato per sempre alla chiesa, quindi a tutti noi, è l’ortodossia della fede, soprattutto per quanto riguarda la divinità del Cristo.
MARTIROLOGIO
San Nicola, vescovo di Mira in Licia nell’odierna Turchia, celebre per la sua santità e la sua intercessione presso il trono della grazia divina.
DAGLI SCRITTI…
Dai “Trattati su Giovanni” di sant’Agostino, vescovo
Prima il Signore domanda, e non una volta, ma due e tre volte, quello che già sapeva, se Pietro lo amava; e per tre volte si sente ripetere da Pietro che lo ama; e per tre volte fa a Pietro la stessa raccomandazione, di pascere le sue pecore. Così alla triplice negazione che Pietro pronunziò un tempo, fa riscontro ora la triplice dichiarazione del suo amore, in modo che la lingua non serva all’amore meno di quanto servì alla paura e non sembri avergli fatto dire più parole la temuta morte che la vita presente. Sia dunque impegno dell’amore pascere il gregge del Signore, se il rinnegare il Pastore era stato indizio di paura.
Coloro che pascono le pecore di Cristo con l’intenzione di condizionarle a se stessi e di non considerarle di Cristo, dimostrano di amare non Cristo, ma se stessi, spinti come sono dalla cupidigia di gloria o di potere o di guadagno, non dall’amore di obbedire, di aiutare, di piacere a Dio. Costoro, cui l’Apostolo rimprovera di cercare il proprio interesse e non quello di Cristo, devono essere messi in guardia dalle parole che Cristo ripete con insistenza: Mi ami? Pasci le mie pecore (cfr. Gv 21, 17), che significano: Se mi ami, non pensare a pascere te stesso, ma pasci le mie pecore, e pascile come mie, non come tue; cerca in esse la mia gloria, non la tua, il mio dominio, non il tuo, il mio guadagno, non il tuo, se non vuoi essere del numero di coloro che appartengono ai «tempi difficili», di quelli cioè che amano se stessi con tutto quello che deriva da questo amore di sé, sorgente di ogni male. Coloro, dunque, che pascono le pecore di Cristo, non amino se stessi, per non pascerle come loro proprie ma come di Cristo. Il male che più di ogni altro devono evitare quelli che pascono le pecore di Cristo è quello di ricercare i propri interessi invece di quelli di Gesù Cristo, asservendo alle loro brame coloro per cui fu versato il sangue di lui. Colui che pasce le pecore di Cristo deve crescere nell’amore di lui al punto che l’ardore dello spirito vinca anche quel timore naturale della morte, per cui non vogliamo morire anche quando vogliamo vivere con Cristo. Ma per quanto grande sia l’orrore della morte lo deve far vincere la forza dell’amore per colui che, essendo la nostra vita, ha voluto per noi sopportare anche la morte.
Del resto se la morte comportasse poca o nessuna sofferenza, non sarebbe grande com’è la gloria dei martiri. Se il buon Pastore che diede la sua vita per le sue pecore suscitò tra esse tanti martiri, quanto più debbono lottare per la verità contro il peccato fino alla morte, fino al sangue, coloro ai quali egli affidò le sue stesse pecore da pascere, cioè da formare e guidare. Davanti all’esempio della passione di Cristo non è chi non veda che i pastori devono stringersi maggiormente vicino al Pastore imitandolo, proprio perché già tante pecore seguirono l’esempio di lui: dietro a lui, unico Pastore, anche i pastori sono pecore sue egli che per tutti accettò di patire, e, al fine di patire per tutti, si è fatto lui stesso agnello. (Tratt. 123, 5; CCL 36, 678-680)
NOTA DAL MESSALE
Nicola (sec. IV) fu vescovo di Myra (attuale Demre, Turchia). Dall’Oriente il suo culto si diffuse anche in Italia, dopo il trafugamento delle sue reliquie (1087) e la loro collocazione a Bari, nella basilica a lui intitolata, dove sono tuttora custodite. Nel suo nome fiorirono tradizioni popolari e iniziative di carità legate al Natale. La memoria della sua morte e sepoltura è indicata al 6 dicembre nei riti bizantino e copto.
Dal Comune dei pastori: per un vescovo.
COLLETTA PROPRIA
Imploriamo umilmente la tua misericordia, o Signore: per intercessione del santo vescovo Nicola salvaci da tutti i pericoli, perché procediamo sicuri sulla via della salvezza. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.