Paolo Danei nasce ad Ovada (Alessandria), secondo di sedici figli, all’alba del 3 gennaio 1694 da Luca e Annamaria Massari. Alla sua nascita una luce misteriosa invade la stanza, sicuro presagio di qualcosa di grande e di bello. Ancora bambino apprende dalla mamma l’amore verso il Crocifisso che caratterizzerà tutta la sua vita. Sui vent’anni avviene quella che lui chiama “conversione”: resta come folgorato da “un discorso familiare” di un sacerdote. Fa la confessione generale e decide di impegnarsi al completo servizio di Dio anche se ancora non sa come.
Nel 1720 una visione lo orienta più chiaramente. Rapito in spirito si vede “vestito di nero sino a terra”. La Madonna più volte gli indica la strada e gli mostra anche l’abito della nuova congregazione che avrà nella passione di Gesù la ragione del suo esistere. Il 22 novembre dello stesso anno monsignor Francesco Arborio Gattinara vescovo di Alessandria lo riveste di una tunica nera da eremita. Paolo si ritira in una stanzetta attigua alla chiesa di San Carlo a Castellazzo Bormida (Alessandria). Vi resta chiuso dal 23 novembre 1720 al primo gennaio 1721.
Di questi quaranta giorni rimane il diario spirituale, scritto per ordine del vescovo. E’ una testimonianza preziosa della sua straordinaria esperienza interiore. Nel suo spirito si alternano slanci mistici e fortissime aridità. Dal 2 al 7 dicembre scrive “come infusa nello spirito” anche la regola del nuovo istituto che per ora chiama “I poveri di Gesù”. L’agosto successivo parte per Roma con la speranza di essere ricevuto dal papa cui intende chiedere l’approvazione del nuovo istituto. Da una guardia viene respinto come uno dei tanti avventurieri. Paolo, amareggiato, si reca a pregare nella chiesa di Santa Maria Maggiore dove rinnova l’impegno di fondare la congregazione ed emette il voto di dedicarsi a risvegliare nel cuore dei fedeli la “memoria della passione di Gesù”.
Tornando a casa si ferma brevemente sul Monte Argentario (Grosseto): vi tornerà presto con il fratello Giovanni Battista vestito da eremita anche lui e fin dall’infanzia suo inseparabile compagno di penitenza, di contemplazione e di ideali. Il 21 maggio 1725 il papa Benedetto XIII gli concede a voce il permesso di radunare compagni consacrati alla stessa missione. Per oltre un anno si ferma a Roma presso l’ospedale di San Gallicano; insieme al fratello si dedica all’assistenza degli ammalati anche se l’istituto coltivato nel cuore ha ben altre finalità. Con Giovanni Battista viene ordinato sacerdote in San Pietro dal papa Benedetto XIII. Nel 1728 i due fratelli tornano all’Argentario. Si fermano nel romitorio di Snt’Antonio vivendo in povertà e penitenza, solitudine e preghiera: le caratteristiche della congregazione che sta nascendo. Esercitano un intenso apostolato nella Maremma toscana dove abbondano malaria e fame e dove vegetano preti senza vocazione.
Il 14 settembre 1737 sul monte Argentario inaugura la prima casa religiosa dedicata alla Presentazione di Maria al tempio. L’ha disegnata lui con il suo bastoncello. Quando era ancora a Castellazzo la Madonna gli aveva detto: “Paolo, vieni all’Argentario dove sono sola”. Nel 1741, il 15 maggio, arriva l’approvazione delle Regole da parte del papa Benedetto XIV che commenta stupito: “Questa congregazione doveva nascere per prima ed invece arriva solo ora”. L’11 giugno 1741 insieme a cinque compagni emette la professione religiosa: sulla tonaca nera indossata dai religiosi compare per la prima volta il tipico stemma passionista. In questa circostanza Paolo aggiunge al suo nome l’appellativo “della Croce”.
Nel 1773 apre a Roma quella casa religiosa che sarà la sede centrale della Congregazione. E’ ancora un dono di Clemente XIV che i Passionisti, a cominciare dal loro fondatore, ricorderanno sempre come protettore premuroso e benefattore incomparabile. Si tratta della basilica e del convento dei Santi Giovanni e Paolo, a fianco del Colosseo. Paolo vi si trasferisce con una numerosa comunità. Qui trascorre il resto della sua vita ormai al tramonto. Vi muore “con faccia di paradiso”, il pomeriggio del 18 ottobre 1775 circondato dai suoi figli ai quali ha precedentemente dettato il testamento spirituale: amare la chiesa, vivere nella preghiera, nella solitudine e nella povertà; contemplare il Crocifisso; predicare a tutti la passione di Gesù. Pio IX lo proclamerà santo nel 1857.
Nel secolo dell’Illuminismo e dei miscredenti, Paolo è uomo di Dio tra gli uomini della ragione. Discernendo con molta perspicacia i mali del tempo, da lui chiamato “lacrimoso e calamitoso”, ne scopre e ne indica il rimedio più efficace nella passione di Gesù. Si consuma per piantare la croce di Cristo nel cuore dei fratelli. Per piantarvi cioè l’amore di Dio, il solo capace di salvare l’uomo. La croce al centro di tutto, come segno e sigillo dell’amore di Dio. Percorre l’Italia dal Piemonte alle Puglie per comunicare a tutti l’incontenibile amore al Crocifisso che gli brucia dentro. Predica oltre 250 missioni (compresi corsi di esercizi spirituali a clero e monache), accompagnate spesso da miracoli e sempre da immensi frutti spirituali. Non sceglie di sua iniziativa pulpiti di prestigio anche se vi è spesso chiamato. Preferisce la povera gente dimenticata ed abbandonata da tutti.
Scrive oltre cinquantamila lettere. Peccato che solo una minima parte sia pervenuta fino a noi. Spesso è con la penna in mano davanti a “mucchi di lettere così grossi che spezzerebbero un travertino o un masso di bronzo”. Molte lettere riguardano la direzione spirituale. Numerose le anime da lui dirette rintracciabili non solo tra religiosi e religiose, ma anche tra i laici, nobili, vescovi, prelati della curia romana. Inizia a dirigerle prima ancora di essere ordinato sacerdote e vi dedicherà le sue energie migliori fino alla morte. La predicazione lo mette in contatto con anime che restano affascinate da lui, e che a lui si affidano per meglio rispondere ai richiami della grazia. Anche se esigente, infonde coraggio, fiducia e sicurezza. Insegna a morire a se stessi per rinascere continuamente a vita nuova in Cristo crocifisso e risorto.
Esorta a dimenticare se stessi e riposare nel seno del Padre, coltivando l’unione con Lui.
“Per essere santo, scrive, ci vuole una N e una T… la N sei tu che sei un nulla; la T è Dio che è l’infinito tutto per essenza. Lascia dunque sparire la N del tuo niente nell’infinito Tutto”.
Alla sua congregazione “drappello radunato sotto la croce” Paolo affida la missione di risvegliare nel cuore dell’uomo la “grata memoria” della passione di Gesù, “l’opera più stupenda del divino amore… il miracolo dei miracoli di Dio”. Ai suoi figli lascia il compito di camminare vicino ai crocifissi di ogni tempo e di ogni luogo condividendone angosce e speranze. Quello che i Passionisti, presenti in oltre 50 nazioni, vivono ogni giorno sull’esempio e con il dinamismo di Paolo loro Padre e Fondatore. E non solo i Passionisti. Il movimento suscitato da Paolo si è via via allargato. Alcuni istituti di vita consacrata, molti laici impegnati sono stati contagiati da lui. Si richiamano alla sua ricca spiritualità e lo amano con un tenero amore di figli.
Fonte: www.passionisti.org
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